Raffaella Musicò su Odor di Gelsomino

Il libro di oggi è Un’imprecisa cosa felice di Silvia Greco, edito da Hacca.

Scritta da un’esordiente che fa tutt’altro nella vita, questa storia resta impressa nel cuore. Mi ha fatto tornare in mente una cosa che ho sentito dire a Ginevra Bompiani, che uno scrittore è tale solo se cerca la verità – ecco, Silvia ha scavato fino a trovarla.

Centrato attorno alla mancanza (la zia di Marta, Marisa, muore nel bel mezzo di una vita felice e la madre di Nino muore per un colpo al cuore proprio quando la sua vita poteva tornare felice), il racconto affonda senza fare sconti nelle vite che da questa mancanza vengono sconvolte e ci restituisce la profondità del dolore e il suo essere costante e impietoso. Ci mostra anche come il dolore sia capace di costruire reti per aumentare la sua potenza.

Leggendo le vite di Marta e di Nino sentiamo che un pezzetto del nostro cuore risponde all’appello e dice anch’io!, e si mette a battere precipitosamente, e ritrova in un lampo quella strada sotterranea dalla quale ogni tanto cerchiamo di fuggire ma che è invece la nostra essenza, ci collega tutti, noi esseri viventi.

Marta e Nino – e tutti gli altri personaggi straordinariamente messi in campo da Silvia – giocano la partita più importante della loro vita, che è quella di accettare gli eventi senza poterli capire, con quello che hanno a disposizione: se stessi. Da lì partono e con quello vanno avanti senza diventare eroi, cadendo e rialzandosi, cadendo ancora e rialzandosi ancora, con una capacità di resistere impregnata di mitezza, di disperazione, di ingenuità e di resistenza, spinti in avanti dalla forza della vita, cui hanno il coraggio di abbandonarsi.

È un romanzo molto italiano senza essere mai ombelicale, asfittico o concluso in una realtà definita; è riconoscibile il punto di partenza ma poi, lo dico con grande emozione, si arriva alle stelle.

È semplice, è la vita.

E la scrittura di Silvia Greco, il suo stile pulito e brillante, tonifica con grande forza il percorso dei personaggi, nessuno escluso. Non ci sono sbavature, concessioni all’autocompiacimento, non ci sono iperboli stucchevoli, ma anzi un uso della lingua misurato e attento, al servizio della storia e delle emozioni. Esordiente? Secondo me è una scrittrice, con la S maiuscola.

Complimenti a questa bella casa editrice, che fa lavoro di ricerca e conferma di avere fiuto per le cose belle – a cominciare dalla splendida copertina di Maurizio Ceccato, per finire al lavoro di revisione che non lascia sul campo neanche un refuso.

Leggere libri così fa tornare fiducia ed entusiasmo nel nobile lavoro dell’editore e alza l’asticella per tutti gli altri.

Ma poi inizi a vederci un segno. Lei, lui, loro se ne sono andati lasciandoti un sorriso. Adesso te ne accorgi, lo vedi. Lo acciuffi e te lo rimetti in bocca.

Articolo originale qui:
http://www.elisagelsomino.com/consigli-della-libraia-unimprecisa-cosa-felice-silvia-greco/

Un impreciso #SalTo felice

COVER SALONE

Più che una presentazione, sarà una festa. Dopo 30 anni (eh, sì, perché ero piccina ma c’ero!), approdo al Salone del Libro non più come lettrice, standista, volontaria. curiosa, amica di autori, ladra di libri (..) ma come SCRITTRICE!

Per l’occasione ho voluto accanto a me dei compagni di viaggio eccezionali:

  • LORENZA GENTILE, autrice per Einaudi del romanzo La felicità è una storia semplice. Di argomenti in comune ne abbiamo parecchi!
  • SALVATORE D’ALESSIO, uno dei più attenti e preparati librai d’Italia, direttamente dalla UBIK di Foggia
  • LAURA CASU, amica ex libraia e grande lettrice, compagna di mille avventure con aNobii e storie di libri
  • LUISA TROMPETTO, una delle più brave attrici in circolazione. Le sue letture fanno venire brividi di libidine.

Dunque vi invito con tutto l’entusiasmo e la gioia che ho addosso a partecipare a questo incontro nella MIA Torino, nel MIO Salone, con i MIEI amici. Sarà splendido avervi con me.

Cosa: PRESENTAZIONE DI UN’IMPRECISA COSA FELICE
Dove: SALONE DEL LIBRO DI TORINO – SALA ROMANIA
Quando: SABATO 20 MAGGIO ALLE 15
Perché: PERCHÉ TUTTI CI MERITIAMO UNA BELLA DOSE DI FELICITÀ

Qui i dettagli:
http://www.salonelibro.it/it/?option=com_content&view=article&id=17990:un-imprecisa-cosa-felice-14886&catid=294:2017&Itemid=143

Dieci Buoni Motivi per NON leggere “Un’imprecisa cosa felice” su Giudittalegge

1.     Perché i protagonisti sono degli eterni ragazzini creduloni, contradittori e dal cuore buono. Troppo poco trendy per lettori che cercano personaggi seriosi e risolti.
2.     Perché la storia è una favola moderna con tanto di morale e lieto fine. La realtà è un’altra cosa.
3.     Perché più che un libro, è uno zoo: tra le pagine trovi 11 gatti veri, 1 gatto immaginario, centinaia di lumachine e un cane con un nome improbabile.
4.     Perché si legge tutto d’un fiato in poche ore, e se ti scappa la pipì a metà libro te la terrai finché non l’avrai finito. Non fa bene.
5.     Perché i cavalli a dondolo sono nati per dondolare, non per correre lontano.
6.     Perché il verde è il colore del profumo prati. Nefasta premonizione di una brutta rinite.
7.     Perché ti verrà voglia di scrivere telegrammi per comunicare con i morti e difficilmente troverai una telegrafista ben disposta quando cercherai di dettargliene uno.
8.     Perché è scritto un po’ in prima e un po’ in terza persona. Un  po’ al presente, un po’ al passato. Un po’ con un linguaggio basico come un libro per bambini, un po’ poetico come un poemetto classico e un po’ comico come un testo di cabaret. Cosa si è fumata l’autrice?
9.     Perché ogni volta che andrai al mercato a comprare le uova e te le incarteranno in carta di giornale, resterai profondamente deluso.
10.  Perché quando ti capiterà di calpestare una cacca per strada, non penserai più né “che schifo”, né “porta bene”, ma ti mancherà qualcuno di molto importante.
di Silvia Greco

Angelo Di Liberto su Repubblica

I consigli di Billy su Repubblica Palermo

La felicità nascosta tra le pagine di un libro

Gentili lettori, vi è mai capitato di essere travolti da un’imprecisa cosa felice? Una risata imprevista, magari in una situazione tragica in cui c’è un morto e tutti sono intorno al feretro a testa bassa e una persona, una sola, vi fissa tormentandosi le unghie e indicandovi con gli occhi qualcuno vestito in maniera buffa che si scaccola in santa pace? Oppure mentre un passante cade in maniera maldestra finendo a faccia in giù su un escremento animale?

Ricordo che i miei genitori avevano appena inaugurato la nostra casa di campagna. Una coppia con il figlio si era presentata come nostra vicina e voleva conoscerci. Il pomeriggio era andato avanti in maniera abbastanza noiosa tanto che il ragazzo a un certo punto mi aveva proposto di fare un giro giù in paese in auto. Avevo accettato. Tra una chiacchiera e l’altra, tra una risata e l’altra, passando per un vicolo stretto, aveva rallentato. Alla mia destra, una casetta bassa, di quelle tipiche con le persiane verde scuro, il balcone al primo piano. Di solito dentro sono super rifinite e fuori sembrano ruderi cascanti. Era davvero brutta a vedersi. Il legno rovinato degli scuri scrostati e storti, le crepe nei muri, qualche buco qua e là ma soprattutto un balcone osceno avvolto da quei teli plastificati fatti di foglie finte e stinte dal sole.

M’era scappata una frase: «mamma mia, chissà chi ci abita in quella catapecchia!». Lui con semplicità aveva risposto: «è casa mia». E aveva cominciato a ridere senza potersi trattenere. Più mi guardava e più sghignazzava. Era stato contagioso. Dopo pochi secondi di stordimento m’ero messo a ridere appresso a lui.

È capitato altre volte nella vita di sorprendermi a sbellicarmi per qualcosa o qualcuno. Recentemente è stato per un libro di Silvia Greco dal titolo «Un’imprecisa cosa felice ». Ero in una giornata no, di quelle che se iniziano storte poi temi che finiscano peggio. Mi trovavo a casa, sdraiato sul divano e la copertina bianca di un libro con un cavallino di legno al centro che mi guardava sorridente, mi ha attratto. «Io le compravo le riviste porno, anzi, no, non è vero, non le compravo: me le regalava mio cugino Attilio dopo che aveva fatto i ritratti. Lui era un pittore, non solo il fattorino sfigato di Bortolo, come diceva mia madre. Dipingeva i corpi delle persone mentre facevano quelle cose là, e, visto che non trovava nessuno che posasse per lui (anche perché è difficile stare fermi in certe posizioni), faceva la copia della foto dei giornaletti. Era bravo, prima o poi qualcuno se ne sarebbe accorto e gli avrebbe fatto fare una mostra. Una sera in realtà la fece, in garage. Io lo aiutai». Ho iniziato così a innamorarmi dei personaggi del libro. Quello che ha appena parlato è Nino, un ventenne tontolone, il quale, per una serie di peripezie che non sto qui a raccontarvi, s’invaghirà una ragazza che posa a sua insaputa per riviste hard. Sì, avete capito bene, a sua insaputa. Volete comprendere come sia possibile? Ciò che posso dirvi è che vi divertirete e che godrete di tutti i personaggi, persino dei cosiddetti cattivi. C’è un mondo colorato nella storia di Silvia Greco che non attende di essere salvato ma di esistere, di cogliere l’attimo perfetto dentro di voi. Un’assurda coincidenza che si chiama vita ma che potrebbe definirsi caso o volontà. Ciò che conta è che ovunque siate vi giriate dall’altra parte, perché è lì che quell’imprecisa cosa felice balzerà fuori. Vi troverà sicuramente impreparati ma è proprio questo a renderla speciale.

Un attimo prima tutto sembrava filare storto, c’era un cielo plumbeo e avevate litigato col vostro migliore amico. Poi quell’imprecisa cosa felice accade e vi ritrovate dentro a un pub con una birra davanti e gli occhi dell’amico che sembrano incorniciati apposta per essere perdonati. Succede, come succede che vostro zio vi chieda di saltare dentro alla sua macchina per una tournée teatrale in giro per il paese. Succede. Perché è la vita. Qualsiasi abbiate scelto di vivere. Ovunque abbiate deciso per una volta di essere felici.

L’Antiquario vi saluta.

Carlo Mars su E daje apri sto blog, su

Pessoa, subito. “Fu un momento”
Wislawa, a chiudere. “Sotto una piccola stella”.

“Mi perdonino i morti se ardono appena nella mia memoria.
Chiedo scusa al vecchio amore se do la precedenza al nuovo.
Perdonami, speranza braccata, se a volte rido”.

No, non è una storia pesante.
No, non leggerai e dirai “Dio, che pugno nello stomaco”.
Staccherai un po’ dal tuo mondo quotidiano, magari noioso e asettico,
e viaggerai di fantasia, che ti farà bene.
Leggerai e sorriderai. Ti commuoverai un po’.
Leggerai della morte, ma sarà un sospiro, e poi farai un sorriso.
Capirai che le persone importanti che ci lasciano no, non ci lasciano mai.
Sfoglierai quei capitoli brevi, che a me piacciono tanto, perché sono come le fotografie.
Immediati. Ti sentirai come a teatro, a vedere una commedia.
Come al teatro delle marionette.
Sai che è per bambini, ma rifletti e ti diverti lo stesso.
La bellezza è bellezza, anche sotto un’apparente ingenuità.
Abbraccerai Nino, che arriva in ritardo su tutto, ma la lentezza gli fa restare negli occhi il sogno,
e fa fuggire via le cose brutte.
Nino, che si incanta ad ascoltare una storia, Nino che ritaglia gli sguardi e i volti.
Nino, che, mentre leggo, penso no eh, non fargli succedere niente di male, a Nino, che non lo potrei sopportare.
Che quando penso a “ritardo cognitivo” mi viene un brivido.
In cui c’è tutto, dentro, da un pianto a dirotto a Forrest Gump e alla sua piuma.
Marta è sveglia, invece. Marta corre, Marta pretende, Marta si incazza, Marta che la sofferenza se l’è ingoiata tutta.
Entrambi, a loro modo, hanno in mente un piano di risalita.
Non conoscono bene la strada, ma la troveranno.
Alla fine c’è un sorriso che li aspetta.
E’ una fiaba, una piccola magia, una poesia delicata, questo libro.
Che quando lo chiudi, alla fine, stai bene, senza dover spiegare bene perché.
Ascoltate musica. Mangiate marmellate di consolazione.
Fate a gara di stelle. Mettete un cartello con scritto “oggi chiuso per cose mie”.

“Così la brezza / dice sui rami senza saperlo / un’imprecisa cosa felice”.

Articolo originale qui:
https://edajeapristoblogsu.wordpress.com/

Giuditta Casale su Giudittalegge

Come si può definire la felicità? Impresa ardua, a tratti impossibile. Si può sfiorarla, accarezzarla, ma limitarla in una definizione è come snaturare il concetto stesso di felicità.

imagesEcco perché il titolo del romanzo d’esordio di Silvia Greco, per Hacca, casa editrice dalla raffinata veste grafica e dal catalogo con una forte carica di originalità per scrittura e sguardo al mondo, risulta così felice: imprecisa, la felicità non può che essere imprecisa, e indeterminata come l’articolo che l’accompagna, e infine non può che essere fatta di cose, minute piccole fragili e temporanee come un sorriso, aggiungo io.

Un’imprecisa cosa felice: che è anche la sensazione che accompagna il lettore, e lo lascia sbalordito, perché il libro parla di morte, di inadeguatezza, di perdita, di fragilità. Forse la leggerezza del tono che Silvia Greco sa usare, il modo ironico e storpiato con cui guarda alla realtà faticosa della vita, lo stralunamento dei personaggi che cadono, ma non si disperano e sono sempre pronti a ricominciare e a sorridere alla vita, fanno di questo romanzo un libro felice, in cui si sorride anche nei momenti più tragici, si piange ma poi passa con la carezza di dita che asciugano le lacrime.

Due storie in parallelo. Quella di Nino, che narra in prima persona, con ingenua e dolce inadeguatezza alla vita, che offre uno sguardo straniante sull’amore e sul dolore, e che riesce a trovare la propria dimensione nel “bugigattolo delle cianfrusaglie”, vera metafora dell’esistenza umana. La seconda storia è quella di Marta, narrata in terza persona, rocambolesca e avventurosa: dalla tournée fallita con lo zio, alla difficoltà di trovare un lavoro per mantenersi fuori casa, al matrimonio della madre e alla realizzazione di un teatro casalingo.

Intorno alla perdita di Marisa, all’incolmabilità di questo dolore, il romanzo ruota, ma con leggerezza, prestando alla morte un aspetto grottesco, che la rende umana, così umana da non essere più motivo di disperazione, ma stimolo e incitamento a cercare la propria strada, che finisce per portare i personaggi a incontrarsi e intrecciare le proprie vite: Marta con Nino; Ernesto con Ines e poi con il falegname Peppe.L’infanzia per entrambi è segnata da una carenza, di amore di affetto di complicità, che viene colmata in maniera inattesa: per Nino dal ritorno del padre con due gemelle a cui si legherà e di cui si prenderà cura; per Marta dall’arrivo in famiglia di una donna, Marisa, capace di ricostruire una famiglia che non c’era mai stata, un triangolo pieno di amore, lei lo zio Ernesto che diviene il marito e Marta.

Nino e Marta si sono già incontrati, ma questo sembra ricordarlo solo il lettore insieme con la scrittrice, durante l’infanzia, trascorsa in due paesini limitrofi dai contorni di fiaba.

Nino trascinava un cavallo a dondolo di legno, pur essendo già grandicello per quel gioco, all’ospedale dei giocattoli, che Marisa e Marta avevano fondato in un capanno in giardino. Il cavallo funzionava, non era rotto come i giochi degli altri bimbi che ricorrevano alle amorevoli e miracolose cure di Marisa, capace di far riprendere vita ai giocattoli e ai meccanismi le loro funzioni. A Marisa basta uno sguardo per comprendere la richiesta di Nino:

“Vuoi che il tuo cavallo corra veloce come il vento, Nino?”

E

Dopo un’oretta, Nino uscì dal capanno felice come una pasqua, in sella al suo cavallo di legno rosso. Avvitate alla basa basculante, quattro ruotine giravano veloci a ogni sua spinta con i piedi, portandolo lontano.

La copertina sottolinea con ironia e grazia l’importanza che tale episodio ha in corpo al romanzo. Se proprio si vuole tentare una definizione di felicità, che non perda le sue caratteristiche essenziali di indeterminatezza e imprecisione, un cavallino a dondolo aggiustato e migliorato con quattro ruotine che portano lontano è ciò che più si avvicina al concetto che muove le vite dei personaggi in “Un’imprecisa cosa felice”.

Articolo originale qui: http://www.giudittalegge.it/2017/05/02/unimprecisa-cosa-felice/

Marta Abbà su OmniMilanoLibri

Un’imprecisa cosa felice” è un libro per chi sa apprezzare le cose imprecise, ammaccate, spezzate, rovinate, senza considerarle tristi e inutili ma sfidando sé stesso per riuscire a trovare l’angolatura giusta che permette di scorgerne l’immutata, e imperfetta, bellezza.

E’ un libro anche per chi non sa fare tutto ciò, ma riesce ad affidarsi allo sguardo dell’autrice, Silvia Greco. Hacca Edizioni, pubblicando il suo volume, regala molto più di uno scrigno magico a chi lo apre. Si tratta di una storia a più voci e allo stesso tempo da più storie che trovano come fil rouge la scrittura intensa e allo stesso tempo evocativa di questa impiegata assicurativa al suo primo romanzo.

Nell’intreccio, che alterna due voci ma con esse abbraccia molte più esistenze, con rara capacità di sintesi e intelligente coordinazione, i protagonisti sono la giovane Marta, suo zio Ernesto e Nino, ma anche altri parenti e comparse che compaiono, appunto, mai a caso. E nemmeno in modo impreciso, come potrebbe far pensare il titolo, anzi, puntualmente fanno svoltare un personaggio o una storia verso una felicità imprevista. Oltre che di essere umani affascinanti, con tutta l’aria di essere sbucati da un libro di favole strampalate, il libro di Greco è pieno zeppo di oggetti, tutti segnati dalla vita e dalle esistenze in cui sono capitati per sua mano. Oggetti quotidiani che non ci accorgiamo di avere sotto gli occhi e che nelle pagine di “Un’imprecisa cosa felice” acquistano un potere sensoriale ed evocativo straordinario.

Chi racconta la trama di questo romanzo, pretendendo di farlo in modo preciso, rischia di renderne triste la lettura. E’ un incantesimo, questo, che sembra dimostrare come la felicità e l’imperfezione vadano di pari passo e tengano lo stesso passo di ogni lettore che, a termine delle 192 pagine, non riuscirà agilmente a voltare la faccia alle vite raccontate con tanto appassionato surrealismo. Quello che più sa raccontare la verità imprecisa delle cose e delle persone.

Sorgente: UN’IMPRECISA COSA FELICE DA LEGGERE

Luca Sanguinetti su Gli amanti dei libri

Silvia Greco, poetessa e cabarettista, fa il suo esordio come romanziera con il libro“Un’imprecisa cosa felice“. Un libro che inizia con  un prologo che ci parla di morte, non quella classica, come va di moda in questi giorni, ma quella più leggera che sorge improvvisamente per una serie di casualità. La storia è semplice come una fiaba d’altri tempi. I protagonisti sono persone genuine, gente di paese che guarda ancora al mondo con stupore. La storia si svolge negli anni novanta in un piccolo paesino, dove la gente vive a misura d’uomo. I personaggi principali sono Marta e Nino ed attorno a loro si muove una microstoria dove nell’alternarsi fra tempo presente e flashback conosciamo tanti personaggi ognuno con il suo peso specifico.

Marta è una giovane tosta e ribelle, senza essere un’eroina non si arrende alle avversità, ma anzi prende spunto dai problemi quotidiani per rendere più dolce la vita. La vita di Marta la vedo come un’avventura picaresca ambientata nei nostri giorni. Una giovane che cerca se stessa in un lungo peregrinare di esperienze, lavori ed incontri. Nino per me è un incrocio fra il Pinocchio delle fiabe ed il Forrest Gump cinematografico: il classico eterno bambino che cresce con i suoi tempi, ma che soprattutto reagisce alla vita con un approccio che la gente non comprende, ritenendolo pertanto “scemo”.

Attorno a questi due poli narrativi, nel libro si alternano in sequenza altri personaggi non secondari come lo zio Ernest,o attore di cabaret, la zia Marisa, che con il suo calore sa contagiare tutti quelli che le ruotano attorno, Elvira la madre iperprotettiva di Marta, ma anche i genitori di Nino che cercano di amarlo, ma non riusciranno mai a comprenderlo.

La storia è composta da micro-quadri o brevi racconti in cui ogni volta comprendiamo più che la storia in sè l’anima dei personaggi. Nulla è casuale, tutto ha una sua logica seppur dolce e l’autrice è brava a collegare tutte le tracce che lascia nelle pagine. Il sentimento che aleggia nella pagina è l’empatia verso tutte le persone, mai un giudizio, solo tenera comprensione. In una società in cui si premia sempre chi emerge, nel romanzo vediamo una narrazione che dà speranza e voce agli ultimi.

“Non è vero che sei scemo, sembri molto più intelligente di quando eri piccolo, si vede che ti ci è voluto un po’ più di tempo degli altri, che sarà mai” (pag. 68). Sembra un mondo fatato in cui adulti e ragazzini fanno a gara a chi conta più stelle….. “vinceva chi, senza barare, avvistava il numero più alto di stelle cadenti….il premio consisteva ….in un buono vizi 24, una serie di coccole elargite dai due perdenti, da usufruire nell’arco di ventiquattr’ore a partire dal giorno successivo alla vittoria.”  (pag 134).

Lo stile dell’autrice è fresco e leggero. Nel romanzo la Greco usa spesso frasi brevi, ma aggettivi calibrati e caldi che sembrano quasi dar colore ed anima a personaggi e situazioni. La sua abilità è anche quella di creare parole belle e calzanti come il “gattoso” che per Marta voleva dire la cosa più belle di tutte le cose belle, “quando di colpo ti fidi dell’intero universo e allora ti strusci e fai le fusa e dai le nasatine contro il mondo e ogni cosa vibrissa è in sintonia con pianeti….”(pag. 83). Un romanzo che nell’epilogo da speranza  perché, come dice nelle ultime righe, anche se ci lascia lo fa “lasciandoti un sorriso” (pag. 185).

Articolo originale qui:
http://www.gliamantideilibri.it/unimprecisa-cosa-felice-silvia-greco/

Laura Pezzini su Vanity Fair

25 libri da leggere nei weekend di primavera

Romanzi, mini saggi, fumetti e classici da portare in vacanza: ecco i titoli adatti a ogni esigenza, dal divertimento alla riflessione.
(…)

UN’IMPRECISA COSA FELICE

«Le chiamano morti tragicomiche. Comiche per chi non ne è travolto, chi le sente raccontare come barzellette dal burlone in fila alle poste, chi ne legge distratto il trafiletto sul giornale, e sogghigna divertito. Tragiche per chi subisce lo strappo da vicino, nel cuore, nella pancia, negli ochhi increduli. Partenze stupide e improvvise, senza ritorno e stupide, stupide e senza spiegazioni». Silvia Greco ha scritto una storia che ha una levità di piuma nonostante parli di persone, Marta, Nino ed Ernesto, che sopravvivono ai loro grandi dolori.

Un’imprecisa cosa felice di Silvia Greco (Hacca, pagg. 192, 14 euro)

Articolo originale qui:
https://www.vanityfair.it/show/libri/2017/04/14/i-25-libri-da-leggere-nei-weekend-di-primavera-2017

Daniela Myr su Chili di Libri

Di solito ci inviano la copertina insieme al libro, invece questa volta il nostro amico Roberto (che ringraziamo per inviarci sempre bei libri, non so come faccia, ma continua a sorprenderci piacevolmente!), se l’è dimenticata. Ho letto il libro quindi senza avere nemmeno l’idea di che cosa volesse trasmettere o rappresentare. L’ho letto e mi è piaciuto, e poi, per scrivere questa recensione, sono andata a ripescare la copertina da internet.

Wow! Bellissima! Non so se per voi che non lo avete ancora letto l’effetto è lo stesso, ma per me che so già che cosa rappresenta quel cavallo a dondolo con le rotelle sotto, la copertina è quanto di più adatto, evocativo, rappresentativo. Giusto.

Il libro di Silvio Greco è un libro delicato. Le due voci si alternano. Marta e Nino sono due ragazzi fuori dagli schemi. Lui è un po’ indietro di cottura, come si suol dire, non ha amici e non ha un padre. Poi ritrova il padre, ma perde subito la madre.

Le chiamano morti tragicomiche. Comiche per chi non ne è travolto, chi le sente raccontare come barzellette dal burlone in fila alle poste, chi ne legge distratto il trafi- letto sul giornale, e sogghigna divertito. Tragiche per chi subisce lo strappo da vicino, nel cuore, nella pancia, negli occhi increduli. Partenze stupide e improvvise, senza ritorno e stupide, stupide e senza spiegazioni. Perché la morte di quelli a cui vuoi bene già di per sé è una gran brutta bestia che ti afferra alla gola e ti sbrana fin nelle viscere, ti dimezza il respiro e ti porta giù fino all’inferno degli abbandonati. Figuriamoci se chi muore lo fa in un modo ridicolo, grottesco, assurdo come dovrebbe succe- dere solo nei cartoni animati, dove poi nessuno muore davvero. Nella vita reale si crepa anche così. E la disgrazia è smisurata perché non puoi, davvero non sei capace di fartene una ragione.

Nino però non è triste. Ha due sorelline bionde di cui prendersi cura, un bugigattolo da cui vende carabattole a basso prezzo e nessuna ambizione. Sfoglia riviste porno, ma solo per trovare volti che gli piacciono, ritagliarli e incollarli su un quaderno. Sole le facce di ragazze sconosciute che sorridono. In particolare c’è la ragazza-orecchie che riempie le sue fantasie: con lei, ne è certo, potrebbe essere se stesso, parlare e ridere senza che lei lo prenda in giro o gli dica che è scemo.

Non avevo mai fatto il funerale a nessuno, ma sapevo che i morti venivano impacchettati e finivano dentro scatole lunghe di legno che si chiamavano bare. L’avrei impacchettata come Dio comanda, non nella carta di giornale delle uova, non nei giornalini di Attilio. Avrei comprato un rotolo gigante di carta lucida da pacco, come quelle dei regali di Natale, tutta rossa, e prima di chiudere il coperchio avrei messo tantissimi fiocchi colorati dappertutto.

Marta invece cresce con la madre, molto giovane d’età, ma già vecchia dentro, e lo zio, molto più grande, ma con l’animo di un ragazzino. Con lo zio e la zia si diverte, scopre un mondo nuovo ed è finalmente felice.

Marta seguì tutto in silenzio, seduta sulla poltrona di fronte a loro. Non aveva mai visto lo zio così gattoso. Gattoso per Marta voleva dire la cosa più bella di tutte le cose belle, quando di colpo ti fidi dell’intero universo e allora ti strusci e fai le fusa e dai le nasatine contro il mondo e ogni vibrissa è in sintonia con i pianeti e le pance sono morbide e calde e profumano di casa e pane appena sfornato e se mi scegli io ti scelgo perché è così che deve andare. Se il destino ti prende e ti dice ehi, tu, sì, proprio tu, con il mio potere immenso io ora, ades- so, subito, ti nomino sovrano dei felici. Vai e sii gattoso. Devi, puoi.

Nella mail di accompagnamento è stato definito un libro sorprendente, ed è vero.

La storia è semplice, raccontata con un linguaggio semplice e accurato. Due vite che scorrono ognuna per conto suo, con il loro peso di difficoltà e sofferenza, con la fatica di stare al mondo come gli altri, la persistente sensazione di essere diversi, e poi si incontrano. E da questo incontro nasce qualcosa di inaspettato e di indefinibile. Un’imprecisa cosa felice.

Il cavallo a dondolo? Già! Una bellissima storia e lezione per tutti.

Buona lettura.

Articolo originale qui:
http://chilidilibri.altervista.org/unimprecisa-cosa-felice-di-silvia-greco/