Cartografia Letteraria a cura di Colla e The Catcher

Un’imprecisa cosa felice, di Silvia Greco
Regali, canzoni e morti sbilenche: l’infografica del libro

Particolare della copertina (Hacca edizioni, 2017)

Un’imprecisa cosa felice (Hacca edizioni) è la vicenda di un esordio che ha richiesto vent’anni. Eppure questa non è la solita storia dello scrittore che, dopo anni e dopo migliaia lettere di rifiuto da editori, arriva faticosamente alle stampe. Qui si tratta del caso opposto: le prime pagine — scritte per l’appunto venti anni fa — catturano l’attenzione di Hacca Edizioni, ma l’autrice non se la sente di portare a termine quel libro. Il lavoro da volontaria al Salone del Libro di Torino del 2016 le fa scoprire quell’urgenza che prima le mancava. Fra le vacanze e delle ferie apposite riesce a terminarlo e a pubblicarlo.

Già il titolo si pone come un guanto di sfida: saranno riusciti i cartografi a rintracciare uno schema, a trarre un’infografica da Un’imprecisa cosa felice?

I nostri si sono dunque lanciati in questa avventura iniziando col giocare a rintracciare i paesini inventati dalla scrittrice. Poi si sono fatti prendere dall’atmosfera di nobile infantilità e si sono messi a contare regali e tutte le cose felici che incontravano. Ma non potevano trascurare la seconda componente del binomio alla base di questo libro: quella della morte, ma una morte incredibile, beffarda e risibile, definita felicemente una tragedia sbilenca. Una morte toccata con la delicatezza di un bambino che sogna che il suo cavallo a dondolo possa correre lontano.

Testo e dati: Marco Bonavia
Ideazione e realizzazione grafica:
Alice Rebolino
In collaborazione con:
Colla

Quando gli oggetti a noi più cari si spezzano, si ammaccano, smettono di funzionare, di colpo diventiamo immobili e tristi. Ma cosa succede quando sono le persone a rompersi, magari in modo ridicolo, assurdo, con partenze stupide e improvvise? Un’imprecisa cosa felice racconta imprevedibili risvolti nelle vite strampalate di Marta, di suo zio Ernesto e di Nino. Storie di chi resta e non si arrende al dolore, di chi riesce, nonostante tutto, a farsi accecare dalla meraviglia. Specie se fuori ci sono un prato verde e un sole buono a scaldare.

Dalla quarta di copertina di Un’imprecisa cosa felice, Silvia Greco (Hacca edizioni).


Infografiche letterarie è una rubrica per maniaci lettori e infaticabili cercatori. Ogni tanto, ci occupiamo di esordienti e lo facciamo sotto la direzione artistica di Francesco Sparacino che, oltre a essere il cofondatore di Colla e dell’agenzia letteraria Pastrengo, è nato a Palermo nel 1981, si occupa da anni di scouting e editing per la narrativa italiana.

ARTICOLI ORIGINALI:
https://thecatcher.it/imprecisa-cosa-felice-greco-hacca-f58ac53dda6a
http://www.collacolla.org/?p=5119

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Alice Pisu su Repubblica Parma

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Il viaggio nell’editoria indipendente di Alice Pisu (Diari di bordo) approda al nuovo romanzo di Silvia Greco, edito da Hacca, presentato sabato 17 giugno in libreria, che racconta la precarietà di esistenze che sanno ancora vedere la bellezza nelle piccole
cose, quelle per cui vale la pena vivere

È un’imprecisa cosa felice la vita, a volte, quando si assaporano momenti di cui non si ha consapevolezza della brevità, quando basta una marmellata con l’etichetta storta per sistemare giorni bui o un viso ritagliato da una rivista per immaginare il proprio sogno dagli occhi con i girasoli dentro. Un’imprecisa cosa felice che dura un istante e può svanire nei modi più impensati, anche ridicoli, come scivolare per la cacca di un cane per strada, cadere dalla scala mentre si cambia la lampadina del bagno, o inciampare nel filo del Folletto di cui si sta facendo la dimostrazione a casa di una coppia di testimoni di Geova per poi precipitare dall’ottavo piano. E morire così, di una morte che può far ridere solo chi non è dentro quel dolore.

Sono le storie raccontate da Silvia Greco nel suo nuovo romanzo edito da Hacca, “Un’imprecisa cosa felice“, incentrate su due protagonisti appena adolescenti, Marta e Nino, inconsapevoli del filo che li unisce in quella vita strampalata fatta di attese. Ogni singolo personaggio descritto da Silvia Greco sembra, infatti, in attesa di qualcosa: in attesa di un padre diventato solo un vago ricordo d’infanzia; in attesa di una nuova avventura seguendo lo zio cabarettista e di un nuovo amore per lui anche se ha le fattezze di una sessantaseienne in carne con le gote rosse e un gatto immaginario di nome Sebastien; in attesa di conoscere un giorno la ragazza-orecchie ritagliata con cura dai giornaletti porno passati di soppiatto dal cugino, per idolatrarne il viso e custodirlo con cura in un quaderno. È l’attesa di incontrare la felicità, con la convinzione di saperla riconoscere attingendo a qualche ricordo lontano dell’infanzia, quando bastava rifugiarsi nell’ospedale dei giocattoli con quella zia che era come una madre, o perdersi nel proprio mondo fatto di storie inventate e mondi immaginari.

Un altrove così alienante da confondersi col reale per Nino, additato sin da piccolo come “lo scemo”, quello che si incanta a guardare nel vuoto e sa viaggiare anche da fermo, come se perdesse il contatto con la realtà aveva notato la maestra, l’unica a coglierne le potenzialità aiutandolo a scoprire i romanzi d’avventura e perdersi in quelle storie la sera, prima di dormire. “Non è vero che sei scemo, sembri molto più intelligente di quando eri piccolo, si vede che ti ci è voluto un po’ più di tempo degli altri”, gli ripete suo padre, quello riapparso all’improvviso dopo anni di assenza in Germania, a produrre würstel vegani e rifarsi una famiglia. Un’esistenza fatta di piccole cose, a incartare le uova per conto di sua madre, a pensare che le foglie non cadono per il vento e fantasticare sulla ragazza della rivista, l’unica di cui gli importi, quelle vere non gli interessano.

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In quel piccolo mondo tra Galletta e Tricello ci sono madri, come quella di Marta, nate vecchie e mai state leggere, che sacrificano le proprie ambizioni per trasmettere devozione a figli nati presto e cresciuti da sole elevando un muro inespugnabile intorno, fatto di cure e protezioni estreme (“Per questo ti amerò fin dentro le viscere, piccola mia. Vieni qua, dai un bacio alla mamma. Non metterti le dita nel naso. No, non puoi andare a giocare in cortile, fa freddo. Dammi subito quella vite arrugginita, ma dove diavolo l’hai pescata? Ti sei lavata le mani, i dentini? Ora a letto che sono già le otto”) nell’illusione di poter controllare e proteggere un’esistenza fragile. Poi ci sono altre madri, quelle non biologiche, con cui giocare a gara di stelle col naso all’insù sperando di vincere il “buono vizi 24”, fare fototessere con linguacce e occhi storti da attaccare ai vasetti di confettura, imparare a prendersi cura di qualcuno imitando l’amore ricevuto, rifugiarsi nell’illusione di fermare quei momenti e renderli senza fine.

Ci sono anche altri padri in quel microcosmo raccontato da Greco, quelli veri ma assenti, inesistenti sino al giorno in cui possono riapparire all’improvviso, altri che sono spariti non appena hanno scoperto di aspettare un figlio, e altri che da zii cercano di colmare i vuoti, giocando a sentirsi Clark Gable, un po’ alcolizzati e impulsivi ma capaci di trasmettere alla propria nipote che a volte può bastare un paesino di mare come destinazione, una scorpacciata di ricci e la vista delle stelle come programma, e un viaggio in macchina con su The best of Sanremo ’50-’60 per avvicinarsi il più possibile a un’idea di felicità.

In quelle storie solo all’apparenza minime, Silvia Greco racconta che nulla accade mai per caso. Con narrazioni che paiono tocchi brevi e leggeri dimostra che, in fondo, quel quadro di normalità che ognuno rincorre con i propri mezzi non esiste, è un’illusione, perché si scontra con l’impossibilità di andare nella stessa direzione dell’altro, o con i casi della vita capaci di infrangere un sogno in un istante, anche nei modi più ridicoli e per questo più dolorosi perché inaccettabili. Allora scrivere può diventare una via possibile per raccontare quella lacerazione, facendo sì che quelli che un tempo erano solo ricordi diventino memoria. Immagini slegate da volti e da luoghi attraversano la mente: scrivere, come sostiene Annie Ernaux, significa “attingere a questo serbatoio di ricordi per nutrire la trama di una storia inventata”. Scrittura che, come la poesia, può essere limitata all’essenza delle cose perché, come sosteneva Marcel Proust, “si è sempre ben ispirati quando si parla di quello che si ama. La verità è che non si dovrebbe mai parlare d’altro”. Anche quando non resta, all’apparenza, che la solitudine, anche quando sembrano mancare le vie d’uscita sopravvivendo in una precarietà non solo economica ma, soprattutto esistenziale, l’antidoto può essere scrivere, come scriveva David Foster Wallace.

L’illusione che Silvia Greco restituisce al lettore attraverso le sue pagine è che, nonostante tutto, anche quando si vive la sensazione di trovarsi alla deriva, si possa riuscire ancora a provare il senso di meraviglia, proprio attraverso le piccole cose, quelle che restano indelebili nel ricordo. È questo forse, scrivere, e imparare a vivere tenendo fede a quell’illusione. È un’imprecisa cosa felice la vita, quella raccontata da Fernando Pessoa nei gesti minimi che raccontano senza sapere, quella di Henrik Nordbrandt, poeta danese che nel 1972 scriveva: “Talvolta delle piccole cose ci fanno felici/ senza motivo:/ Il secchio di latta ammaccato nella pioggia di primavera/ sotto il ciliegio in fiore/ subito prima che il cielo schiarisca./ O le bottiglie di vino rosso/ che abbiamo gettato dalla finestra ubriachi la notte scorsa /subito dopo…/ E talvolta le stesse cose ci rendono infelici/ per lo stesso motivo”.

Articolo originale qui:
http://libri-parma.blogautore.repubblica.it/2017/06/14/unimprecisa-cosa-felice-silvia-greco/

Andrea Sirna su Un antidoto contro la solitudine

Tamponare il dolore in seguito a un lutto non è mai semplice. Ci sono vite dedicate alla commiserazione e al ricordo di chi ci ha lasciato. Ci sono vite in cui questo dolore non viene mai arginato.

Come ci comporteremmo di fronte a una morte inaspettata sarebbe meglio non saperlo o, nel peggiore dei casi, ricordarlo. Nel caso invece di una morte tragicomica, una di quelle che solo i cartoni animati sanno mostrarci, l’esperienza potrebbe complicarsi ulteriormente.

Queste sono le premesse di Un’imprecisa cosa felice, il romanzo d’esordio di Silvia Greco edito da Hacca edizioni e arricchito dalla delicatissima illustrazione di Maurizio Ceccato.

Quelle di Marta e di Nino sono due vite che con la morte hanno un rapporto molto stretto. Sono due anime bizzarre le quali camminano in un mondo privato, intimo, capace di oscurare la realtà e di far perdere coloro che nella disillusione cercano il conforto.

Marta e Nino hanno perso in maniera ridicola una parte di loro stessi, rimanendo da soli, con qualche giocattolo rotto tra le mani.

La Greco accoglie con onestà queste figure orfane, accoglie il lettore con un misto di ironia e leggerezza difficile da mantenere di fronte la morte.

Un’imprecisa cosa felice è il trovare il nostro posto nella vita di tutti i giorni, cercando di rialzarci, sempre con positività ma senza che un misto di rimpianto e melanconia ci possa scappare.
Siamo noi soli, neanche le persone del nostro futuro sembrano potere aiutarci, non quando queste non toccano le nostre esperienze, le nostre anime.

Gattoso per Marta voleva dire la cosa più bella di tutte le cose belle, quando di colpo ti fidi dell’intero universo e allora ti strusci e fai le fusa e dai le nasatine contro il mondo e ogni vibrassa è in sintonia con i pianeti e le pance sono morbide e calde e profumano di casa e pane appena sfornato e se mi scegli io ti scelgo perché è così che deve andare.

Sono le immagini a colpire, piene di dolcezza, fatte di una scrittura calibrata senza che questa debba scomodare il famoso “stile cinematografico”. Piccole polaroid, non sempre felici, impossibili da cancellare anche dopo la lettura.

Le immagini forti si possono costruire sono con abilità e coinvolgimento e grazie a queste, nonostante mi sia ritrovato tra le mani un libro lontano dalle mie solite letture, sono rimasto abbastanza soddisfatto.

Di fronte a una trama incastrata con troppa precisione, prendere atto di quanto la nostra felicità possa dipendere dalla bellezza del mondo, dei piccoli dettagli, magari quattro semplici ruotine montate su un cavallino a dondolo per poterci spingere verso il domani impiegando un po’ meno fatica, rimane la migliore esperienza dell’oggi e del domani.

Articolo originale qui:
http://unantidotocontrolasolitudine.blogspot.it/2017/06/unimprecisa-cosa-felice-di-silvia-greco.html

Francesca Maccani su Leggoveloce

Un cavallo a dondolo non va solo avanti e indietro. Se gli metti 4 rotelle si trasforma.

La zia Marisa lo sa bene. Lei sa aggiustare tutti i giocattoli e perfino fare delle marmellate buonissime con nomi coccolosi.

Marta la adora. Lei è una zia eccezionale.

Una morte assurda però la strappa all’amato marito e alla sua adorata nipote.

Le vite di entrambi precipitano in un baratro.

Nino è un bravo ragazzo, ingenuo e buono. Il padre lo lascia per cercare fortuna in Germania e un bel giorno, dopo 15 anni, si ripresenta al ragazzo in compagnia di due gemelline bionde.

Marta e Nino sembrano persi e soli come due cani randagi.

Apparentemente non hanno nulla in comune a parte le loro ferite.

Ma nonostante le avversità mantengono vivo un orgoglio fiero che farà sì che entrambi riusciranno a riscattarsi.

Una prosa delicata che ha quasi i toni di una fiaba.

Un’ironia mai scontata e un sottile spirito di ribellione fanno di questo romanzo una piacevole lettura, durante la quale non si può fare a meno di ridere sotto i baffi, nonostante tutto.

Per chi ama le storie di provincia ammantate di particolari quasi magici. Per chi ha avuto una zia un po’ matta ma geniale, per chi ha perso qualcuno che amava con tutto il cuore.

Una chicca targata Hacca Edizioni.

Articolo originale qui:
https://leggoveloce.wordpress.com/2017/05/31/unimprecisa-cosa-felice/

Elisa Ponassi su La Lettrice Rampante

La mamma di Nino morì stecchita per un colpo al cuore. Metaforico. A Marisa toccò una fine ancora più assurda. Una stupidissima morte idiota che inabissò Marta ed Ernesto in un dolore inconsolabile e infilò nei loro petti una nostalgia grassa che non andò più via, come una tosse cronica, indebellabile.

Un’imprecisa cosa felice di Silvia Greco, pubblicato da Hacca, inizia così. Con un prologo dedicato alle morti assurde, tragicomiche, e poche righe per spiegare quali troveremo all’interno del libro.
Marta e suo zio Ernesto, da un lato, devono fare i conti con il dolore per la perdita di Marisa, quella donna entrata un po’ all’improvviso nelle vite di entrambi colorandole di nuove sfumature e che ora, dopo una morte stupida che più stupida non si può, li ha trascinati in una spirale di dolore da cui proprio non riescono a uscire. E pensare che loro due, prima dell’arrivo della donna, quasi non si sopportavano.  Ma Marisa è riuscita a trasformare Ernesto e renderlo gattoso.

Gattoso per Marta voleva dire la cosa più bella di tutte le cose belle, quando ti colpo ti fidi dell’intero universo e allora ti strusci e fai le fusa e dai le nasatine contro il mondo e ogni vibrissa è in sintonia con i pianeti e le pance sono morbide e calde e profumano di casa e pane appena sfornato e se mi scegli ti scelgo io perché è così che deve andare. Se il destino ti prende e ti dice ehi, tu, sì proprio tu, con il mio potere immenso io ora, adesso, subito, ti nomino sovrano dei felici. Vai e sii gattoso. Devi, puoi.

Ma soprattutto è riuscita a rendere quel casolare dove l’uomo e la bimba vivevano con la madre di lei, Elvira, un piccolo paradiso, dove le marmellate  hanno nomi bizzarri e i giocattoli rotti vengono aggiustati. E ora che Marisa non c’è più, Ernesto e Marta non sanno più come si fa a essere felici. L’unica possibilità pare essere di partire insieme, in cerca della serenità perduta.

Dall’altro lato, invece, c’è Nino che deve affrontare contemporaneamente la morte della madre e il ritorno improvviso del padre, andatosene quando lui era piccolo lasciandogli come ricordo solo un cavallino di legno.

Avevo quasi sei anni quando se ne andò ed ero triste perché anche se mi tirava un sacco di ceffoni mi piaceva, era alto e aveva la voce profonda. Di lui ricordavo poco, anche la faccia non la ricordavo bene. Ma prima di andarsene mi aveva fatto un regalo bellissimo, quello non lo dimenticherò mai: era un cavallo a dondolo di legno rosso. Mi disse quando sei triste, monta in sella e corri lontano.

Nino non è un ragazzo molto sveglio, ma è in grado di prendersi cura di se stesso, delle sue due sorelle gemelle che il padre gli porta come in dono quando torna a casa, e di quel piccolo bugigattolo alla stazione, dove vende cianfrusaglie e ricordini. Nel tempo libero, adora stare con suo cugino, unico vero amico che ha in paese, e soprattutto appiccicare su un quaderno i ritagli del viso di una ragazza con le orecchie a sventola.

Sono loro tre, Marta, Ernesto e Nino sono i protagonisti di Un’imprecisa cosa felice. Un libro colmo di dolore e di perdite, ma anche di speranze, d’amore e di scene buffe che più buffe non si può. Ed è qui che sta soprattutto la bravura di Silvia Greco in questo suo romanzo d’esordio: nel suo modo di raccontare le storie di questi suoi protagonisti in un modo che, nonostante la tristezza e le difficili situazioni che si ritrovano a vivere, riesce comunque a fare sorridere e a dare la speranza che sì, nonostante tutto, le cose si possono sistemare. Come un giocattolo rotto, come un cuore spezzato.

Resti lì, attonito, stravolto, incredulo, davanti a quella scena assurda. Com’è possibile? Non si può morire così, non puoi crederci. Amore mio, no, ti prego, no, mamma, papà, amica mia, nonno, fratello. Zia. È uno scherzo di pessimo gusto.
Ma poi inizi a vederci un segno. Lei, lui, loro se ne sono andati lasciandoti un sorrido. Adesso te ne accorgi, lo vedi. Lo acciuffi e te lo rimetti in bocca.

Un’imprecisa cosa felice è una piccola perla, da leggere quando si è un po’ tristi e si ha bisogno di una spinta, o anche solo di una marmellata coccolosa, per riuscire ad affrontare la vita; ma anche quando si è allegri nonostante tutto, per esserlo ancora di più. Una lettura che merita.

Articolo originale qui:
http://lalettricerampante.blogspot.it/2017/05/unimprecisa-cosa-felice-silvia-greco.html

Raffaella Musicò su Odor di Gelsomino

Il libro di oggi è Un’imprecisa cosa felice di Silvia Greco, edito da Hacca.

Scritta da un’esordiente che fa tutt’altro nella vita, questa storia resta impressa nel cuore. Mi ha fatto tornare in mente una cosa che ho sentito dire a Ginevra Bompiani, che uno scrittore è tale solo se cerca la verità – ecco, Silvia ha scavato fino a trovarla.

Centrato attorno alla mancanza (la zia di Marta, Marisa, muore nel bel mezzo di una vita felice e la madre di Nino muore per un colpo al cuore proprio quando la sua vita poteva tornare felice), il racconto affonda senza fare sconti nelle vite che da questa mancanza vengono sconvolte e ci restituisce la profondità del dolore e il suo essere costante e impietoso. Ci mostra anche come il dolore sia capace di costruire reti per aumentare la sua potenza.

Leggendo le vite di Marta e di Nino sentiamo che un pezzetto del nostro cuore risponde all’appello e dice anch’io!, e si mette a battere precipitosamente, e ritrova in un lampo quella strada sotterranea dalla quale ogni tanto cerchiamo di fuggire ma che è invece la nostra essenza, ci collega tutti, noi esseri viventi.

Marta e Nino – e tutti gli altri personaggi straordinariamente messi in campo da Silvia – giocano la partita più importante della loro vita, che è quella di accettare gli eventi senza poterli capire, con quello che hanno a disposizione: se stessi. Da lì partono e con quello vanno avanti senza diventare eroi, cadendo e rialzandosi, cadendo ancora e rialzandosi ancora, con una capacità di resistere impregnata di mitezza, di disperazione, di ingenuità e di resistenza, spinti in avanti dalla forza della vita, cui hanno il coraggio di abbandonarsi.

È un romanzo molto italiano senza essere mai ombelicale, asfittico o concluso in una realtà definita; è riconoscibile il punto di partenza ma poi, lo dico con grande emozione, si arriva alle stelle.

È semplice, è la vita.

E la scrittura di Silvia Greco, il suo stile pulito e brillante, tonifica con grande forza il percorso dei personaggi, nessuno escluso. Non ci sono sbavature, concessioni all’autocompiacimento, non ci sono iperboli stucchevoli, ma anzi un uso della lingua misurato e attento, al servizio della storia e delle emozioni. Esordiente? Secondo me è una scrittrice, con la S maiuscola.

Complimenti a questa bella casa editrice, che fa lavoro di ricerca e conferma di avere fiuto per le cose belle – a cominciare dalla splendida copertina di Maurizio Ceccato, per finire al lavoro di revisione che non lascia sul campo neanche un refuso.

Leggere libri così fa tornare fiducia ed entusiasmo nel nobile lavoro dell’editore e alza l’asticella per tutti gli altri.

Ma poi inizi a vederci un segno. Lei, lui, loro se ne sono andati lasciandoti un sorriso. Adesso te ne accorgi, lo vedi. Lo acciuffi e te lo rimetti in bocca.

Articolo originale qui:
http://www.elisagelsomino.com/consigli-della-libraia-unimprecisa-cosa-felice-silvia-greco/

Angelo Di Liberto su Repubblica

I consigli di Billy su Repubblica Palermo

La felicità nascosta tra le pagine di un libro

Gentili lettori, vi è mai capitato di essere travolti da un’imprecisa cosa felice? Una risata imprevista, magari in una situazione tragica in cui c’è un morto e tutti sono intorno al feretro a testa bassa e una persona, una sola, vi fissa tormentandosi le unghie e indicandovi con gli occhi qualcuno vestito in maniera buffa che si scaccola in santa pace? Oppure mentre un passante cade in maniera maldestra finendo a faccia in giù su un escremento animale?

Ricordo che i miei genitori avevano appena inaugurato la nostra casa di campagna. Una coppia con il figlio si era presentata come nostra vicina e voleva conoscerci. Il pomeriggio era andato avanti in maniera abbastanza noiosa tanto che il ragazzo a un certo punto mi aveva proposto di fare un giro giù in paese in auto. Avevo accettato. Tra una chiacchiera e l’altra, tra una risata e l’altra, passando per un vicolo stretto, aveva rallentato. Alla mia destra, una casetta bassa, di quelle tipiche con le persiane verde scuro, il balcone al primo piano. Di solito dentro sono super rifinite e fuori sembrano ruderi cascanti. Era davvero brutta a vedersi. Il legno rovinato degli scuri scrostati e storti, le crepe nei muri, qualche buco qua e là ma soprattutto un balcone osceno avvolto da quei teli plastificati fatti di foglie finte e stinte dal sole.

M’era scappata una frase: «mamma mia, chissà chi ci abita in quella catapecchia!». Lui con semplicità aveva risposto: «è casa mia». E aveva cominciato a ridere senza potersi trattenere. Più mi guardava e più sghignazzava. Era stato contagioso. Dopo pochi secondi di stordimento m’ero messo a ridere appresso a lui.

È capitato altre volte nella vita di sorprendermi a sbellicarmi per qualcosa o qualcuno. Recentemente è stato per un libro di Silvia Greco dal titolo «Un’imprecisa cosa felice ». Ero in una giornata no, di quelle che se iniziano storte poi temi che finiscano peggio. Mi trovavo a casa, sdraiato sul divano e la copertina bianca di un libro con un cavallino di legno al centro che mi guardava sorridente, mi ha attratto. «Io le compravo le riviste porno, anzi, no, non è vero, non le compravo: me le regalava mio cugino Attilio dopo che aveva fatto i ritratti. Lui era un pittore, non solo il fattorino sfigato di Bortolo, come diceva mia madre. Dipingeva i corpi delle persone mentre facevano quelle cose là, e, visto che non trovava nessuno che posasse per lui (anche perché è difficile stare fermi in certe posizioni), faceva la copia della foto dei giornaletti. Era bravo, prima o poi qualcuno se ne sarebbe accorto e gli avrebbe fatto fare una mostra. Una sera in realtà la fece, in garage. Io lo aiutai». Ho iniziato così a innamorarmi dei personaggi del libro. Quello che ha appena parlato è Nino, un ventenne tontolone, il quale, per una serie di peripezie che non sto qui a raccontarvi, s’invaghirà una ragazza che posa a sua insaputa per riviste hard. Sì, avete capito bene, a sua insaputa. Volete comprendere come sia possibile? Ciò che posso dirvi è che vi divertirete e che godrete di tutti i personaggi, persino dei cosiddetti cattivi. C’è un mondo colorato nella storia di Silvia Greco che non attende di essere salvato ma di esistere, di cogliere l’attimo perfetto dentro di voi. Un’assurda coincidenza che si chiama vita ma che potrebbe definirsi caso o volontà. Ciò che conta è che ovunque siate vi giriate dall’altra parte, perché è lì che quell’imprecisa cosa felice balzerà fuori. Vi troverà sicuramente impreparati ma è proprio questo a renderla speciale.

Un attimo prima tutto sembrava filare storto, c’era un cielo plumbeo e avevate litigato col vostro migliore amico. Poi quell’imprecisa cosa felice accade e vi ritrovate dentro a un pub con una birra davanti e gli occhi dell’amico che sembrano incorniciati apposta per essere perdonati. Succede, come succede che vostro zio vi chieda di saltare dentro alla sua macchina per una tournée teatrale in giro per il paese. Succede. Perché è la vita. Qualsiasi abbiate scelto di vivere. Ovunque abbiate deciso per una volta di essere felici.

L’Antiquario vi saluta.

Carlo Mars su E daje apri sto blog, su

Pessoa, subito. “Fu un momento”
Wislawa, a chiudere. “Sotto una piccola stella”.

“Mi perdonino i morti se ardono appena nella mia memoria.
Chiedo scusa al vecchio amore se do la precedenza al nuovo.
Perdonami, speranza braccata, se a volte rido”.

No, non è una storia pesante.
No, non leggerai e dirai “Dio, che pugno nello stomaco”.
Staccherai un po’ dal tuo mondo quotidiano, magari noioso e asettico,
e viaggerai di fantasia, che ti farà bene.
Leggerai e sorriderai. Ti commuoverai un po’.
Leggerai della morte, ma sarà un sospiro, e poi farai un sorriso.
Capirai che le persone importanti che ci lasciano no, non ci lasciano mai.
Sfoglierai quei capitoli brevi, che a me piacciono tanto, perché sono come le fotografie.
Immediati. Ti sentirai come a teatro, a vedere una commedia.
Come al teatro delle marionette.
Sai che è per bambini, ma rifletti e ti diverti lo stesso.
La bellezza è bellezza, anche sotto un’apparente ingenuità.
Abbraccerai Nino, che arriva in ritardo su tutto, ma la lentezza gli fa restare negli occhi il sogno,
e fa fuggire via le cose brutte.
Nino, che si incanta ad ascoltare una storia, Nino che ritaglia gli sguardi e i volti.
Nino, che, mentre leggo, penso no eh, non fargli succedere niente di male, a Nino, che non lo potrei sopportare.
Che quando penso a “ritardo cognitivo” mi viene un brivido.
In cui c’è tutto, dentro, da un pianto a dirotto a Forrest Gump e alla sua piuma.
Marta è sveglia, invece. Marta corre, Marta pretende, Marta si incazza, Marta che la sofferenza se l’è ingoiata tutta.
Entrambi, a loro modo, hanno in mente un piano di risalita.
Non conoscono bene la strada, ma la troveranno.
Alla fine c’è un sorriso che li aspetta.
E’ una fiaba, una piccola magia, una poesia delicata, questo libro.
Che quando lo chiudi, alla fine, stai bene, senza dover spiegare bene perché.
Ascoltate musica. Mangiate marmellate di consolazione.
Fate a gara di stelle. Mettete un cartello con scritto “oggi chiuso per cose mie”.

“Così la brezza / dice sui rami senza saperlo / un’imprecisa cosa felice”.

Articolo originale qui:
https://edajeapristoblogsu.wordpress.com/