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Brave con la lingua: ci sono anche io!

Brave con la lingua. Come il linguaggio determina la vita delle donneGiovedì’ 26 aprile alle 21 al Circolo dei Lettori di Torino l’incontro per scoprire “Come il linguaggio determina la vita delle donne”.

Le donne sono tornate ad alzare la voce chiedendo stesse opportunità di carriera, stessi salari e diritti e per dire basta alla violenza. L’hanno fatto a Washington marciando contro il presidente Trump, un evento storico, un’onda capace di travolgere le coscienze, che si intreccia con il movimento #metoo nato sui social per denunciare le molestie e violenze e che si è diffuso in modo virale in tutto il mondo. Perché il problema esiste e i numeri che lo raccontano sono vertiginosi: si conta che in Italia, siano 1 milione 403 mila le donne che hanno subito almeno un ricatto sessuale sul posto di lavoro nella loro vita. Le condanne per stalking sono passate da 35 nel 2009 a 1.601 nel 2016. Il 37,6% delle donne vittime dei partner ha riportato ferite, lividi, contusioni. Questi i dati dell’Istat a conferma della gravità del fenomeno.

Ma la violenza non è solo fisica, ne esiste un’altra, capace di insinuarsi pericolosamente nella mente di una donna, fin dall’infanzia. È l’aggressività di certe parole ed espressioni, pronunciate per strada, al lavoro, in famiglia. Sia con intenzione di offendere, ma anche senza pensarci. È un linguaggio preciso che duramente definisce il perimetro di azione delle donne, quello dei suoi pensieri e del suo corpo, accorciando prospettive e delimitandone azioni.

La raccolta di racconti “Brave con la lingua” (Autori Riuniti), nasce proprio da questa esigenza di riflessione. Riunisce voci, esperienze e visioni del mondo di quattordici autrici che hanno usato la narrazione come strumento per liberarsi dalle “parole chiuse”: chiuse sono le parole che incastrano le donne all’interno di definizioni errate. La convinzione che muove il libro, curato da Giulia Muscatelli, è che la condizione femminile nel nostro paese sia anche una questione di linguaggio.

Al Circolo dei lettori l’appuntamento è giovedì 26 aprile, ore 21, con la curatrice Giulia Muscatelli e alcune delle autrici, Noemi Cuffia, Chiara Pietta, Silvia Pelizzari, Silvia Greco, Francesca Manfredi, Romina Falconi, Elena Varvello, Domitilla Pirro, Vittoria Baruffaldi, Giulia Perona, Irene Roncoroni e Flavia Fratello.

Racconta Giulia Muscatelli: “Abbiamo chiesto a quattordici donne di raccontarci qual è stata l’espressione che le ha definite nel corso della loro vita. E poi, a ognuna di loro abbiamo chiesto di scriverne. La raccolta è il risultato di tante riflessioni, a volte anche dolorose, attorno a una singola affermazione. Ma, ancora di più, è la dimostrazione di come sia possibile uscire dalle gabbie linguistiche, e diventare, davvero, Brave con la lingua”.

Il ricavato delle vendite di “Brave con la lingua” è devoluto ad associazioni contro la violenza sulle donne.

Dieci Buoni Motivi per NON leggere “Un’imprecisa cosa felice” su Giudittalegge

1.     Perché i protagonisti sono degli eterni ragazzini creduloni, contradittori e dal cuore buono. Troppo poco trendy per lettori che cercano personaggi seriosi e risolti.
2.     Perché la storia è una favola moderna con tanto di morale e lieto fine. La realtà è un’altra cosa.
3.     Perché più che un libro, è uno zoo: tra le pagine trovi 11 gatti veri, 1 gatto immaginario, centinaia di lumachine e un cane con un nome improbabile.
4.     Perché si legge tutto d’un fiato in poche ore, e se ti scappa la pipì a metà libro te la terrai finché non l’avrai finito. Non fa bene.
5.     Perché i cavalli a dondolo sono nati per dondolare, non per correre lontano.
6.     Perché il verde è il colore del profumo prati. Nefasta premonizione di una brutta rinite.
7.     Perché ti verrà voglia di scrivere telegrammi per comunicare con i morti e difficilmente troverai una telegrafista ben disposta quando cercherai di dettargliene uno.
8.     Perché è scritto un po’ in prima e un po’ in terza persona. Un  po’ al presente, un po’ al passato. Un po’ con un linguaggio basico come un libro per bambini, un po’ poetico come un poemetto classico e un po’ comico come un testo di cabaret. Cosa si è fumata l’autrice?
9.     Perché ogni volta che andrai al mercato a comprare le uova e te le incarteranno in carta di giornale, resterai profondamente deluso.
10.  Perché quando ti capiterà di calpestare una cacca per strada, non penserai più né “che schifo”, né “porta bene”, ma ti mancherà qualcuno di molto importante.
di Silvia Greco

Articolo su IlLibraio.it (scritto da me)

“Cos’è la felicità? È una scelta. Coraggiosa…”. Su ilLibraio.it la riflessione autobiografica di Silvia Greco, in libreria con “Un’imprecisa cosa felice”

“Noi tutti cerchiamo la felicità, ma senza sapere dove, come degli ubriachi che cercano la propria casa, sapendo confusamente di averne una”, sosteneva Voltaire. Questo pensiero mi ronza in testa più o meno da sempre, e da sempre mi chiedo: dove diavolo l’ho persa la via di casa? Fino a ieri sapevo bene dove abitavo. La felicità esiste, lo so. Perché anche io, come te, almeno una volta l’ho provata. E mi ha fatto sentire invincibile come una super eroina dei fumetti, bella come una diva del cinema, satolla come un’affamata in una rosticceria con open bar. E poi? Poi mi sono distratta un attimo e me l’hanno portata via. Hai letto bene. Ho proprio detto me l’hanno portata via. E qui casca l’asino, cioè io. Qui c’è l’errore di fondo che faccio, e che molto probabilmente fai anche tu.

Davvero qualche cattivone passava di là e me l’ha sfilata dal taschino, la felicità, come un portafogli sul bus? Non mi è venuto in mente di tenermela stretta per non farmela soffiare come una scema? No, mi sa di no. Perché io, come te, sono convinta che la felicità vada e venga un po’ come le gira, pazzerella come il mese di aprile, che non sai mai se uscire con l’ombrello o le infradito. Capricciosa come una bambina pestifera, decide lei se concederti la sua carezza o il suo ceffone. Ho avuto un aumento sul lavoro? Carezza di felicità. Sono stata sgridata dal mio capo? Ceffone di tristezza. Mi sono innamorata a prima vista, e a prima vista sono stata ricambiata? Carezza. Mi ha tradito con la mia migliore amica, dopo avermi giurato amore eterno? Ceffone. La morte mi ha portato via qualcuno di caro improvvisamente, lasciandomi nella disperazione più totale? Ceffone a mano aperta. Sono sopravvissuta, senza farmi neanche un graffio, a un incidente rocambolesco in autostrada? Carezza calda. Ovvio che vado su e giù con le emozioni come su una giostra impazzita, nulla da dire a riguardo.

Eppure mi pare ci sia qualcosa che non vada a monte. Oserei dire nel concetto di fondo, nella percezione, nella definizione. Cosa diavolo è la felicità? Può davvero essere qualcosa di così mutevole, e comunque fuori da me? Qualche annetto fa, all’incirca nel quarto secolo Avanti Cristo, Lucio Anneo Seneca si era fatto un’idea ben precisa di cosa fosse la felicità. “Il sommo bene, cioè la felicità, non cerca al di fuori mezzi per realizzarsi; è un bene interiore e nasce tutto da sé stesso; diventa schiavo della sorte se ricerca una parte di sé all’esterno”.

Il concetto è chiaro e attuale, ed è sulle sue parole che devo concentrarmi se voglio davvero tenermelo stretto, il sommo bene.Associo troppo spesso la felicità a situazioni che mi fanno sentire parte di qualcosa: l’amore, le amicizie, il lavoro, il denaro, la fede calcistica o religiosa, il potere, la condizione fisica e chi più ne ha più ne metta. Cose che nel bene o nel male perseguo ostinata, o che mi accadono  regalando o strappandomi via il sorriso. Eppure dovrebbe essere legata a doppia mandata esclusivamente alla conoscenza e alla realizzazione di me, quella specie di vocina interiore che mi dice chi sono e cosa voglio. Io e basta, io per essere me stessa. Voglio essere felice indipendentemente da quello che mi succede! E allora cos’è la felicità? È una scelta. Coraggiosa. Cosa preferisco tra il dramma e l’opportunità? La seconda. Dare credito all’opportunità mi porta ad ascoltare chi voglio essere e dove voglio andare, mi insegna a disegnare un confine netto tra me e quello che mi succede. A separare i piani. A resettare il mio punto di vista. Da fuori a dentro. Smetto di digrignare i denti e scelgo il sorriso. Ed eccola lì davanti a me, la strada per la felicità. La inforco lasciandomi alle spalle avidità, invidia, paura, alibi, sensi di colpa, aspettative, giudizi e rimpianti. E nel tragitto riscopro la meraviglia, che si era assopita in qualche angolino dentro le mie palpebre pesanti. Cammino fiera della mia scelta, a testa alta, e ad ogni passo riscopro il sapore delle cose buone, la genuinità del buongiorno sussurrato da uno sconosciuto per strada, un’alba micidiale dal balcone di casa, la primavera che esplode di fiori.

L’AUTRICE –  Silvia Greco è in libreria per Hacca edizioni conUn’imprecisa cosa felice,  che racconta, facendoci sorridere e commuovere, gli imprevedibili risvolti nelle vite strampalate di Marta, di suo zio Ernesto e di Nino. Storie di chi resta e non si arrende al dolore, di chi riesce, nonostante tutto, a farsi accecare dalla meraviglia…

Qui l’articolo originale: http://www.illibraio.it/ricerca-felicita-469936/

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