UN’IMPRECISA COSA FELICE – UNA STORIA DI MORTI, D’AMORE E DI IMPRECISE COSE FELICI
Ancora un appuntamento da Punto&Zeta a Milano, ancora un piccolo libro dalla grande storia. Lo hanno definito in tanti modi, dall’esperimento letterario che mescola tanti stili differenti al caso editoriale che in pochissimi giorni è riuscito a rapire il cuore dei librai. Di tutte le definizioni che sono uscite, un po’ per gusto personale, un po’ perché mi piace paragonare questa storia a quel genere letterario, quella che preferisco è “fiaba moderna”.
Non vi preoccupate, non troverete orchi, streghe o mostri di sorta, perché questo libro non li serba in cuore, come direbbe Kavafis in Itaca, ma ci sono tanti casi umani, tanti personaggi “umani, troppo umani” che sono capaci di rendere incantata e surreale anche le situazione che spesso tendiamo ad allontanare come la peste: la morte.
Silvia Greco, assieme all’amica Giovanna Donini, ci parla di morte e riesce a farci sorridere, e, cosa meno scontata che mai, riesce a farlo senza che l’amarezza riesca ad entrare nel nostro sorriso.
Sto già pensando ad un secondo romanzo, la protagonista è una vecchietta ottantenne nata il 29 Febbraio che ora crede di essere ventenne.
Non facciamo in tempo a parlare di Un’imprecisa cosa felice che già passiamo al futuro.
Non sono una scrittrice che lo vuol fare di mestiere, questo romanzo è nato dopo una lunga gestazione. Avevo in mente i personaggi che avevo circa ventanni, avevo in mente la trama ma non sapevo bene come fare a strutturare il tutto. Avevo bisogno di ordine mentale e non sentivo il bisogno di sistemare il tutto in quel momento. Poi mi sono sentita con Cristina Licata lo scorso anno, volevo partecipare al Salone del Libro di Torino come volontaria e lì è ripartito tutto. Il Lunedì, ritornata al lavoro, ho chiesto una settimana di ferie, sono andata al mare e ho riassunto la storia. La stesura non mi ha impiegato tanto tempo. E ora sono qui.
I personaggi principali sono Marta e Nino, che si susseguono come in un valzer tra situazioni surreali e problemi di tutti i giorni.
Nino è nato in terza persona, poi ho deciso di entrare direttamente nella sua testa. Volevo che si riuscisse bene a capire quanto tonto fosse e se l’avessi scritto in terza persona non sarei riuscita a descriverlo come serviva. Per quanto riguarda Marta, invece, sono rimasta sulla terza persona. Nei dialoghi Nino non fa distinzione tra quello che pensa, quello che dice e quello che gli è detto. Si tratta di un flusso costante che lui prova in continuazione.
Poi c’è il personaggio di Ernesto che è un grande Hank Chinaski, solo un po’ meno volgare rispetto alla creatura bukowskiana. Forse anche in merito al fatto che è protagonista, suo malgrado, di storie meno nere e crude di quelle che vive Hank.
I miei autori preferiti sono i Nord Americani e tutti quelli che siano in grado di trasmettere una emozione con semplicità. Amo molto gli autori che usano l’ironia come stile principale come Foer o Buzzati. Poi leggo anche autori che pochi conoscono ma che hanno uno stile puntuale e incantato tipo Sasha Stanisich nel suo “La storia del sodato che riparò il grammofono”. Ho apprezzato molto anche Kent Haruf, pur sapendo che non ha nulla di ironico.
L’ironia delle morti, delle cose, della rinascita sono i temi principali di questo agile libro, ma anche l’eterno conflitto che si ha tra provincia e grande città.
Nella mia infanzia ho vissuto in provincia mentre da tantissimi anni vivo in città. Penso che in campagna si viva una sorta di purezza che altrimenti non è trovabile e ho deciso di ambientare in quelle zone il mio romanzo proprio per lasciare questo alone di fascinazione. Ho preso gli anni ’90 solo perché li ho vissuti e ci ho messo dentro ragazzi e adulti come tanti altri perché non sono tanto i personaggi che mi interessavano quanto le loro storie personali e l’ironia delle cose che accadono.
Poi parliamo di oggi, dell’ironia al Pc, delle Gif, di internet e della sensibilità che si può avere nei confronti di una risata.
Credo che ognuno abbia la sua forma di ironia, a prescindere dal tempo in cui vive. Io sono una abbastanza fissata con la tecnologia – faccio la web designer per una compagnia assicurativa – per questo motivo credo sia stato necessario per me fuggire e ambientare tutto nelle zone della provincia.
Ma questo libro è molto di più di semplice carta stampata, piegata e rilegata. È un atto d’amore a 360°. Dal punto di vista professionale per la stima e l’affetto che lega Giovanna Donini a Silvia Greco e per il fatto che è anche grazie ai suoi continui sproni se Nino e Marta ora hanno consistenza virtuale sulle pagine del romanzo. Ma è anche un amore tenero che fa narrare l’autrice con una sorta di affetto per le vicende dei due ragazzi. É un atto d’amore perché questo libro ha visto la luce dopo una lunga gestazione – quasi un parto editoriale – e perché l’editrice di H Edizioni lo ha atteso ogni giorno, chiedendo costantemente a Silvia di ultimarlo per darlo alle stampe.
L’ho sempre spronata a scrivere – racconta Giovanna Donini, autrice teatrale e non solo, che con Silvia ha condiviso appartamento, esperienze e palcoscenici con il trio “Le Spaventapassere” – ogni volta che entravo in libreria mi chiedevo cosa mancasse, e la risposta era sempre il romanzo di Silvia. Non a caso i librai lo trovano bellissimo e non smettono di segnalarlo ai lettori.
E proprio ad un libraio c’è la dedica iniziale.
Beppe Marchetti, magari non lo conoscete, ma è stato il mio libraio di fiducia per anni. Sono tre anni che è scomparso, l’hanno segnalato persino a “Chi l’ha visto”. La prima presentazione ho voluto fortemente che venisse fatta alla sua libreria. Spero che questa storia gli arrivi in un modo o nell’altro.
A prescindere dagli aspetti più propriamente sentimentali e personali, il motivo per cui questo romanzo acchiappa è perché è una summa di fiabe e di cronaca al contempo. Marta è una principessa che viene portata via dal suo paese, ma non contro voglia, lei stessa vuole avventurarsi verso nuove località. Nino è il tontolone a cui va tutto bene per una serie di fortunate combinazioni, lui è il grullo che tanta tradizione popolare toscana ci ha portato. Per certi versi mi ricorda Giufà, per certi altri ha l’innocente sagacia di quel grullo che smontò diligentemente e si mise sulle spalle l’uscio di casa quando sua madre, esasperata dalla sua dabbenaggine, gli chiese di tirarsi dietro l’uscio.
I due personaggi sono capaci di ridere assieme di una morte. Ricordo che lo faceva anche uno dei libertini del Salò pasoliniano con la stessa vacuità con cui ride Nino quando si trova a parlare con Marta. Ridono di morti stupide, ridono perché sono in vita nella sede di una banda di truffatori – come non ricordare il Gatto e la Volpe di Collodi? – e nella loro risata di ventunenni si mescolano le voci di Hansel e Gretel con quella della strega cattiva.
Qui l’articolo originale: https://ramingoblog.com/2017/03/16/unimprecisa-cosa-felice-una-storia-di-morti-damore-e-di-imprecise-cose-felici/#more-7878